"Dentro un ring o fuori non c'è niente di sbagliato a cadere. E' sbagliato rimanere a terra" (Muhammad Ali)

mercoledì 2 gennaio 2013

E' la montagna che chiama

Voglio dedicare un post ad una cosa che da diversi anni mi fa impazzire, letteralmente uscire fuori di testa: l'alpinismo. Io sono nato a Nardò, in una terra circondata da due mari, a pochi metri sul suo livello. Corro almeno 150 giorni l'anno con dislivelli irrisori. Il lungomare e le spiagge sono le mie mete podistiche usuali. Eppure c'è qualcosa che mi fa rimanere senza parole e questo qualcosa sono le montagne, le Alpi in particolare, ma comunque tutte le montagne.
Ogni anno quando vado in Valle d'Aosta a correre l'Arrancabirra, unico trail corso finora, resto sempre affascinato dalla maestosità e della bellezza sconfinata del Monte Bianco, in particolare quest'anno poi che me lo sono goduto a pieno col favore meteo. L'anno scorso andai in Svizzera ed anche lì fu uno spettacolo da brividi, sul San Bernardo, come sullo Spluga, ecc..
La verità è che ho una paura terribile delle altezze, dei burroni, dei crepacci ed alpinista io non potrei davvero esserlo mai. Sarà per questo, forse, che vivo la montagna con quello spirito innocente ed estasiato del bambino che gioca ad essere grande. Ma con una terrificante paura, anche.
Ieri sera su Rai Storia è andato in onda uno speciale stupendo dal titolo "Aria Sottile": avevo un sonno dell'anima, ero davvero stanco, eppure non sono riuscito ad addormentarmi a letto ed il cuore mi è battuto forte a tratti, a rivivere le avventure sulla catena dell'Himalaya, sul K2, sul Nanga Parbat, raccontate in tutto il loroo fascino ma anche tragicità dai più grandi alpinisti del mondo, con in testa Reinhold Messner.
Ho davvero sognato ed ho rivissuto in parte tante letture che da anni mi appassionano proprio sulle avventure alpinistiche. Credo di aver letto molti più libri sull'alpinismo di quanti non ne abbia letti sulla corsa e le maratone. E questo è significativo. Solo che le maratone le ho fatte, e spero di farne ancora tante, mentre l'unica arrampicata che posso permettermi di fare e di salire sul terrazzo di casa a prendere i panni asciutti.
Noto molte analogie tra corsa ed arrampicate: non certo nella tecnica, è naturale, ma gli aspetti psicologici che stanno alla base di certe scelte sono molto simili. La differenza tra i due sport invece, per me, sta qui: le maratone le faccio, ed anche lì amo spingermi oltre i limiti e l'ho fatto diverse volte (e molti ci hanno anche lasciato la vita sulle strade di mezzo mondo per questo); l'alpinismo lo leggo e basta, ma riesce a trasmettermi indirettamente le stesse magiche sensazioni della corsa, questo continuo ricercare se stessi oltre il limite.
Chiacchierando con un mio amico sulla meta preferita delle nostre vacanze, lui amava l'Africa, i suoi villaggi, l'umanità che si respira a contatto con i bambini; io preferivo la solitudine apparentemente inumana, desolata e desolante della montagna. Sono due mondi, probabilmente: in uno, nel primo, si va in prevalenza a trovare l'altro, a tendergli la mano; nel secondo si va a cercare se stessi, col rischio di non riuscirci neppure.
Sulle vette più alte ed impossibili del mondo, come sulle strade più impervie, lunghe e tortuose della terra, non c'è un motivo ben preciso, non c'è "chi ce lo faccia fare"; c'è solo una forza misteriosa che ci spinge ad uscire: è la montagna, come la strada, che chiama.




1 commento:

  1. Grande Giuseppe!
    Beh puoi amare la montagna anche senza essere alpinista nel senso stretto del termine, sei come me, a me basta camminare in montagna per goderne la bellezza. Ti consiglio, se non ci sei mai stato, anche le Dolomiti e se guardi ci sono anche parecchie gare che potrebbero fare al caso tuo, la Camiganda ad esempio o più semplice la Marcialonga a settembre. Ciao!

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