4 ore, 22 minuti e 37 secondi il tempo necessario all’eroe
di questo blog per chiudere i 42 km e 195 metri della sua personale 11.ma
Maratona in carriera, la prima a Lecce città.
Detta così, la faccenda assume un tono ragionieristico che
poco o nulla si addice ad una corsa, la maratona appunto, che è invece il
risultato di un mix incredibile di sensazioni, stati d’animo, un susseguirsi di
sussulti e crisi che ti accompagnano fin dallo start per tutto il percorso,
fino al traguardo.
La prima edizione della Maratona del Barocco corsa ieri a
Lecce mi è piaciuta. Ecco, così sgomberiamo il campo da ogni dubbio. Una bella
manifestazione, strutturata bene, corsa da più di mille runners. Migliorabili
alcuni aspetti, ma figuriamoci: io ancora mi meraviglio che ci sia gente come
Simone Lucia, il “patron” della gara, così folle da voler mettere su
manifestazioni coraggiose come questa in un clima di assalto all’arma bianca di
un esercito di matti che è diventata la società nella quale viviamo oggi, nel
2016. Tutti pronti a saltarti addosso, o quasi, al minimo errore. Qualche
solido in più ai ristori ed un rettilineo di 24 kilometri, dritto come un fuso,
la Lecce-San Cataldo, da spaccare il cervello del runner più solido. E’ vero,
il percorso non ha aiutato, ma 42 km sono tanti, ragazzi! Già il fatto che se
ne siano corsi almeno 15/16 in una città “difficile” come Lecce è un grande
successo!
La mia Maratona del Barocco inizia la notte precedente: mi
ritiro prima e perfettamente sobrio e me ne vado a letto. Mi addormento alle 3!
Ma porca miseria!!! Giuro che la prossima volta mi ubriaco di Sambuca con gli
amici e così me ne vado a letto all’una ed è sicuro che prendo sonno prima.
Alle 6 suona la sveglia ed io mi sento uno zombie. Metto il naso fuori casa e
mi sento una raffica di vento caldo e appiccicoso in faccia. Sciroccone, forte.
Ora, chi corre ha due nemici: il vento (il primo in assoluto) e lo scirocco,
che rende tutto umido ed appiccicoso. Non ho mai viso tanta gente fermarsi e
ritirarsi in una maratona. Le scope andavano e venivano con un ritmo
incredibile lungo il percorso a caricare podisti in difficoltà. Molti
disidratati dalle condizioni meteo e, secondo me, molti sfiancati da quell’interminabile
rettilineo tra il 12° ed il 36° kilometro. Fortuna, l’unica sul versante
meterologico, che il cielo era nuvoloso e non c’era il sole pieno, altrimenti
davvero sarebbe stata durissima.
Personalmente, percorro molto bene i primi 15 kilometri, ad
un ritmo mai inferiore ai 6’ a km, quasi sempre sulla soglia dei 5’40” che, ai
bei tempi, prima che il trail running mi rallentasse moltissimo, mi
consentivano di chiudere al di sotto delle 4 ore. Tempo impensabile oggi. Passo
alla mezza in 2h e 01 minuto, in linea col tempo che mi ero prefissato, anzi,
anche meno. Procedo quasi sempre allo stesso ritmo, da solo, quasi mai
affiancato ad altri runners: ho un passo tutto mio e capisco che in una
situazione di alienazione totale data dal percorso “dritto e a bastone”,
l’unico modo per non soffrire l’ascolto della ripetizione dei propri passi che
battono sull’asfalto è isolarsi mentalmente. Una sorta di improvvisato training
autogeno che funziona alla perfezione fino al 30° km. Da lì in avanti vedrò ai bordi della strada
interi gruppi camminare, chi in preda ai crampi, chi a dare di stomaco, chi con
la testa china e sconsolata. Il mio ritmo nel frattempo è salito a 6’05” -6’10”
a km. Al 32° vengo raggiunto e superato dai pacer delle 4h 15’, che non mi
staccano, però. Ascolto la ragazza "peperina", che li guida, incoraggiare il suo
gruppetto e i runners che incontra per strada. Ripete che mancano “solo” dieci
kilometri e che è come se stessimo correndo, da lì in avanti, un Corripuglia da
10 km.
La maratona è fatta di episodi, dettagli, e asseconda del
dettaglio che ti ritrovi strada facendo, lei prende questa o quell’altra piega.
Un crampo, crack; un guaio ad un articolazione, fine; è lunga abbastanza, quel
tanto che basta per non farti mai stare tranquillo, fino all’ultimo metro. Io
incontro questo gruppo di pacer, che mi superano, ma di poco, mai troppo
lontano per non sentire la loro scia, almeno fino al 36° km.
Siamo al ristoro dello stadio Via Del Mare. Qui affianco
Luigino De Giorgi, mio compagno di squadra, che da lì a poco supererò. Qualche
kilometro pRima avevo abbordato anche Tonio, un altro carissimo amico, col quale
ci eravamo scambiati un paio di battute. Sono stanco. Il mio Garmin mi tradisce
ancora: ormai la batteria non regge manco più le 3h e mezza e mi riprometto che
questa volta è l’ultima. Lo cestino. Mi fermo per bere e per riprendermi. Sono
pochi secondi, una ventina in tutto, che percorro camminando. Tanti ne bastano
per spezzare definitivamente il ritmo e mandare alle ortiche il già precario
equilibrio del training autogeno che fino ad allora mi ero imposto.
Dal 36° km all’arrivo è un susseguirsi di crisi più o meno
forti. Al 40° sono costretto, mio malgrado, a camminare per altri 100-150 mt.
Gli ultimi 2 kilometri saranno così. I pacer arriveranno alle loro 4h 15’. Io
sette minuti dopo, persi in sei kilometri. Se loro andavano a 5’50’ io andavo
ormai a più di un minuto in più a kilometro, insomma.
All’arrivo sono cotto, oggettivamente. Ma sereno. Ne ho
vissute di peggio. Il resto delle considerazioni anche su questo momento, le
lascio alle conclusioni.
CONCLUSIONI.
Ho corso la mia 11.ma maratona; mi è piaciuta; ho imparato
tanto in termini di gestione di una gara complessa, non si finisce mai di
imparare! Avevo alla vigilia 32 km di allenamento massimo percorso nelle gambe
e considero un grande successo, di testa e di gambe, aver chiuso
dignitosamente. La testa va bene, ha superato un’altra prova; le gambe vanno
bene, voglio prendere questi 42 km per quello che sono e per l’obiettivo che mi
ero prefissato alla vigilia: un trampolino di lancio sul quale far partire la
preparazione per i trail che ho in mente di correre il prossimo anno. Da qui ad
allora, insomma, non devo mollare! Lecce è il mio nuovo inizio e se la salute
me lo consentirà da ora in avanti, a parte le tradizionali 21 da correre da qui
alla fine dell’anno, cercherò di riprendere lo sterrato. Se c’è una cosa sulla
quale devo lavorare in futuro, quella è l’alimentazione in gara: ieri ero
stanco, ma non sfinito, muscolarmente parlando, mentre invece ho accusato
dall’arrivo alle successive 2/3 ore una tremenda nausea. L’alimentazione, per lo più zuccherini, mi dà noia. Devo trovare una alternativa,
perché non è la prima volta che mi capita di soffrire di stomaco dopo la gara.
Per il resto, oggi va benone. Sento di aver già recuperato
alla grande. Avrei potuto anche correre, cosa impensabile qualche anno fa,
quando, all’indomani di una 42, non riuscivo neppure a stendere o piegare una
gamba.
Domani si ricomincia.