"Dentro un ring o fuori non c'è niente di sbagliato a cadere. E' sbagliato rimanere a terra" (Muhammad Ali)

domenica 13 maggio 2012

L'attesa



(Nardò- Baia di Uluzzo- Portoselvaggio)

E adesso, che succede?
E’ appena trascorsa una settimana intera dalla mia ultima maratona, quella di domenica scorsa a Fano. Sette giorni fa, come ora, salivo sul pulmino che mi avrebbe riportato a casa, stanchissimo, ma soddisfatto per aver portato a termine una nuova 42 km, l’ottava della mia carriera. Una maratona è un cerchio che si chiude, una di quelle cose pensate, volute, studiate, programmate; prima a tavolino, magari con in mano una rivista, un sito internet, un amico, un volantino o anche soltanto una precedente esperienza che ci induce a pensare di poter prendere in considerazione l’ipotesi di correre, tra tante, proprio quella manifestazione, proprio quella maratona. Poi comincia la fase della preparazione vera e propria, finalizzata almeno negli ultimi due mesi a quel tipo di percorso, a quel tipo di distanza.
E si tratta di cominciare a macinare kilometri e kilometri, con le persone che ti stanno accanto che cominciano a chiedere come mai stai perdendo tanto peso, come mai stai cos’ maniacalmente attento a fare un certo tipo di alimentazione, come mai ti vedono sempre per strada, sia che piova, sia che splenda un sole cocente a macinare decine e decine di km. Tutto per farsi trovare i più pronti possibile a quel momento, a quello sparo, al quale seguiranno nel mio caso dalle 3h 50’ alle 4h15’ di fatica, fisica, mentale e psicologica. Quando tagli il traguardo a volte la commozione è così tanta che scoppi in lacrime, perché ti rendi conto che portare a termine una maratona, voluta e costruita giorno per giorno, mese per mese, uscita dopo uscita, è un sacrificio immane che nessuno ti chiede di fare, se non te stesso e la tua tenacia. Ed è fantastico.
Ieri mattina nel corso di una trasmissione radiofonica si parlava e si rifletteva sul significato oggi quasi perduto del sentimento dell’attesa ai nostri giorni: i nostri genitori ed ancor più i nostri nonni vivevano “in attesa di…”
In attesa che la stagione fosse propizia per la semina, in attesa che fosse il momento giusto per la raccolta; in attesa che la lettera che avevano spedito arrivasse a destinazione ed in attesa di ricevere una eventuale risposta; in attesa che la natura e l’ordine naturale delle cose svolgessero il proprio compito, con meno interferenze possibili. L’elogio della lentezza, contrapposto alla sete ed al bisogno di velocità dei nostri giorni, per cui tutto passa e spesso neppure riusciamo a coglierne l’essenza.
Ecco, io credo che la maratona soddisfi in parte questo bisogno di riappropriarsi di un autentico sentimento di attesa, di lentezza: programmare, lavorare, seminare e raccogliere, stando attenti a non turbare l’ordine naturale delle cose. E forse, avendo bisogno in questo particolare momento della mia vita di riappropriarmi di queste emozioni, proprio per questo sto seriamente valutando l’idea di varcare una volta per tutte le Colonne d’Ercole dei 42 km e provare a correre un’ultramaratona.
Non ho ancora deciso quale sarà e non è questo il tempo per decidere dove e forse neppure se. Questo è il tempo per programmare, al massimo, valutare, ascoltare ancora una volta le sensazioni che la mia mente ed il mio corpo sapranno darmi nelle prossime settimane. Sto valutando diverse opzioni, tutte per il 2013: Strasimeno, 100 km del Passatore, Gran Trail della Valdigne, queste le tre opzioni per adesso nella mia testa. E non è detto che nessuna delle tre vada a buon fine, per intenderci.
Questa sarà intanto un’estate di corsa ed anche di bici: ho cominciato ieri con una trentina di km ed almeno una volta a settimana voglio inserire una variante al mio allenamento canonico. Sarà un’estate di corsa su spiaggia e bagni al tramonto, come sempre, con qualche puntatina poco ossessiva in qualche classicissima di paese.
A settembre, con calma, deciderò. Nel frattempo, si accettano e si valutano eventuali suggerimenti, ospitate, offerte…






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