"Dentro un ring o fuori non c'è niente di sbagliato a cadere. E' sbagliato rimanere a terra" (Muhammad Ali)

lunedì 7 maggio 2012

La mia Collemar-athon 2012 *COMMENTO* e *FOTO*



Dicono che in molti casi, subito dopo il parto, la mamma si rifiuti per qualche minuto di tenere tra le braccia suo figlio appena nato. Alcune non vogliono saperne neppure di vederlo.  Il trauma dovuto al dolore delle doglie e della nascita è così forte da generare in colei che l’ha vissuto una specie di crisi di rigetto. Poi, per fortuna, nella quasi totalità dei casi, dopo pochi minuti si ritorna alla normalità e la gioia di una nuova creatura che viene al mondo prevale su tutto il resto.
Ecco, volendo proprio azzardare una improbabile similitudine, la sensazione che ho provato all’arrivo della mia ottava maratona è stata proprio quella: un rigetto nei confronti  della medaglia che una simpatica e sorridente signorina mia ha messo al collo e che dopo pochi secondi ho tolto e che non ho voluto neppure guardare. Me ne sono ricordato solo molti, ma molti minuti dopo.


Comincio proprio dalla fine per raccontare le sensazioni di questa ennesima avventura podistica, la Collemar-athon, vissuta molto intensamente e con grande “dolore” psico-fisico, e perciò catalogabile tra le più belle e le più sentite.
3 ore e 58 minuti è il mio secondo tempo di sempre sulla distanza dei 42 km, secondo soltanto alla maratona di Roma 2011 (il mio PB) e seguito da quello di Firenze, di un minuto e mezzo circa più lenta.
Collemar-athon è la maratona perfetta per quei podisti che cercano il massimo dei servizi a disposizione ed un percorso un po’ più impegnativo del solito circuito cittadino, generalmente molto pianeggiante e lineare perché concepito magari per fare il tempo. Ma veniamo a questo tempo.
Sveglia alle 5.15, dopo una notte trascorsa non proprio tranquillissima: prendo sonno non prima di mezzanotte perché il nostro albergo si affaccia su una delle piazze principali di Fano, affollatissima di bar e locali notturni presi d’assalto da orde di giovanissimi che faranno baldoria fin a ridosso dell’alba. E quando l’alba arriva e sgombrano il loro campo di battaglia, per un luna che va dormire un sole si alza ed una nuova battaglia è pronta per essere combattuta: la Collemar-athon.


L’hotel ci offre per contro una abbondante colazione ed io non mi tiro indietro perché la partenza è prevista per le ore 9: mancano quindi più delle tre ore della classica digestione e sarebbe un peccato non fare il pieno di carboidrati e calorie che di lì a poco saranno inesorabilmente bruciate tra le colline marchigiane, nell’infinita serie di salite e discese che caratterizzano il percorso che da Barchi ci porterà a Fano, attraverso i paesi di  Mondavio, Orciano, S.Giorgio, Piagge, Cerasa e S.Costanzo. Un percorso bellissimo e molto suggestivo , tra paesaggi da togliere il fiato, tipici della collina marchigiana, cesellata di puzzle dai colori caldi che compongono un orizzonte dondolato dalle colline che per noi podisti sembrano montagne insormontabili da scalare e che, subito dopo aver varcato la soglia dell’arrivo, ci fanno venire le crisi di rigetto!
Sono le 7:20 ed io sono uno dei primi a salire sul bus navetta che dal porto di Fano ci porterà dritti (si fa per dire) nelle mura della città vecchia di Barchi, attraverso una gigantesca porta monumentale, al di là della quale ci sono gli spogliatoi, il servizio di trasporto bagagli assicurato dai mezzi dell’esercito, un minibar che distribuisce the, caffè e biscotti agli atleti che a centinaia cominciano ad effettuare il primo riscaldamento.
Alle 8:45 sono al di qua della gigantesca porta, circondato da altri 1116 runners che, come me, attendono solo che la fanfara dei bersaglieri finisca di intonare le proprie note e che il cannone spari il fatidico “via”. Il cielo è coperto, stamattina è venuta giù anche una leggera pioggia che ha fatto abbassare un pochino la temperatura. Quel tanto che basta per convincermi ad allacciare attorno alla vita, sotto la canotta, una maglia a manica lunga di scorta la cui presenza mi tartasserà lungo l’inteo percorso.
Ma un boato secco ormai annuncia la partenza, che si svolge in una nuvola di coriandoli dorati e di bolle di sapone scintillanti sparate in aria da due cannoncini piazzati proprio sotto il palco di presentazione. La marea umana si riversa in strada, lungo il primo tratto che è in forte discesa e sarebbe un nonnulla farsi prendere dall’entusiasmo se non fossi stato più che abbondantemente istruito alla vigilia sui pericoli di un percorso insidioso, lungo il quale si fa presto a ritrovarsi a corto di fiato e benzina proprio a causa di una cattiva gestione dei primi kilometri di gara.


Così praticamente fino al 16° km procederò col freno a mano innestato in discesa e con grande attenzione in salita, cercando di godermi soprattutto lo spettacolo dato dai luoghi, dai personaggi, dai musicanti, dalle damigelle vestite nei costumi d’epoca che incontriamo lungo il percorso nei castelli, tra le mura medievali e nelle piazze dei comuni vestiti a festa che attraversiamo.
Attorno al sedicesimo km decido che forse è venuto il momento di trasformare quella che fino ad allora ho vissuto principalmente come una gita fuoriporta in qualcosa che somigli almeno un po’ ad una maratona agonistica e comunque competitiva.
E come il giocatore viene colto dal raptus del gioco al solo vedere davanti a se un tavolo verde, così succede a me quando mi accorgo di essere preceduto di soli tre-quattrocento metri  dai palloncini di colore bianco che indicano la presenza del gruppone guidato dai pace maker delle quattro ore. E da lì in avanti la musica cambia decisamente ed il demone della eterna sfida con il tempo si impossessa di me. Devo raggiungere quel gruppo, quei palloncini, superarli e tentare l’impresa che mi era già riuscita due volte in precedenza: scendere sotto le 4 ore. Questa scelta, me ne rendo conto, potrebbe costarmi cara nella gestione di una gara difficile, dall’altimetria molto dura e su un percorso che non conosco, ma la vita, della quale la maratona rappresenta forse davvero una delle metafore meglio riuscite, per quel poco che ne capisco avendola vissuta finora mi ha insegnato che è quasi sempre meglio avere nel cassetto un album di rimorsi che di rimpianti. E questa sembra proprio essere l’occasione giusta per provarlo.
Mi lancio all’inseguimento del gruppo e così sarà per i successivi tre km. Faccio di tutto per distrarmi e per non far percepire attraverso la testa alle mie gambe che sto forzando il mio tempo precedente di almeno dieci secondi a km. Ad un certo punto affianco una signora che sta chiacchierando con un veterano della maratona, e non solo: non chiedetemi adesso come si chiamava lui, indagherò in futuro e ve lo dirò magari in un altro post, ma ho corso almeno un paio di kilometri accanto ad una maratoneta molto esperto, autore di più di un libro che racconta le proprie corse su per le montagne di mezzo mondo, prima fra tutte il Monte Bianco: raccontava le sue imprese all’Ultra Trail del Mont Blanc ed io, chi mi segue ormai lo sa, ho un debole per quel monte e per quelle gare. Così, pur non avendole mai corse, me ne starei ore ad ascoltare il racconto di queste imprese. Vengo catturato dal discorso e quasi non mi rendo più conto, a un kilometro circa da Cerasa, che ho raggiunto i miei fuggitivi e che a ridosso della mezza maratona, che passo ad 1h e 59’, praticamente me li sono già lasciati dietro.
A sorpasso effettuato, lo ammetto, mi lascio un po’ prendere la gamba e tiro troppo. Al 24 km ci aspetta la più lunga delle salite, quella che si conclude all’ingresso di S. Costanzo e che mi costa tantissimo in termini di energia: vengo quasi riagganciato dal gruppo delle 4 ore, ma resisto strenuamente e non mi faccio sorpassare, perché già so che un sorpasso qui sarebbe disastroso a livello psicologico. Tengo duro e dopo l’attraversamento del comune si ricomincia a scendere.
Riprendo  il vecchio ritmo e distanzio nuovamente i palloncini, dando loro un distacco di tre-quattrocento metri alla fine della lunghissima discesa che ci porterà a ridosso del trentesimo km e che per me rappresenterà una mazzata terribile,  facendomi  vivere una nuova esperienza: le discese spezzano le gambe e le ginocchia forse più che le salite, sulle quali si va più piano di sicuro, ma che si affronti ano probabilmente con una concentrazione notevolmente superiore ed una impostazione tecnica tale da farti spendere di meno.
Da qui in poi, superatoil 35° kilometro, rientrati Fano, cominciano le visioni mistiche di fantozziana memoria. Al 37° km ho il tempo di recuperare uno dei miei compagni di squadra, Francesco, che mi aveva superato agevolmente attorno al 15° e che ora sta pagando dazio; ma tra qualche metro comincerò a pagare io, amaramente e con gli interessi: i kilometri dal 38° al 40° sono quelli della disperazione. Corro così male che riesco a farmi raggiungere nuovamente dal gruppo delle quattro ore ed il primo dei pace maker mi supera proprio all’ingresso del porto di Fano, lungo la passerella d’acciaio che perimetra il mare aperto separandolo dalla darsena interna. Gli altri sono tutti dietro.
Do uno sguardo al cronometro e sono abbastanza lucido per fare due conti. Passo al 40° km in 3h 47’; mancano due kilometri e 195 mt all’arrivo; se non stramazzo lungo per terra, non inciampo, non vengo colto da crampi o da qualche improvvisa crisi di vomito causato dalla enorme fragola che ho ingoiato al ristoro del 30° km e che mi sta dando di che penare, se tutto procede senza grossi disastri insomma, continuando sulla media dei 6’-6’10” a km che sto portando con le unghie e coi denti avanti da un po’ dovrei  comunque chiudere sul filo delle 4 ore. E sarebbe un’impresa storica, inimmaginabile alla vigilia.
Gli ultimi due km trascorreranno in realtà molto più agevolmente di quanto pronosticato: non inciamperò, non stramazzerò, non vomiterò, riuscirò a passare ancora una volta in testa al palloncino delle 4 ore e chiuderò a braccia larghe nel tempo di 3h 58’ 39”, bissando di fatto il tempo della prima metà della gara.
Il resto, se avete buona memoria, l’ho raccontato all’inizio.


Stamattina, al rientro a Nardò, chi sapeva della mia maratona mi ha chiesto com’è andata e mi ha fatto i complimenti. Vorrei ringraziare tutti i miei “tifosi”, diciamo così, e tutti coloro che alla vigilia mi hanno incoraggiato e mi sono stati vicini. Sembrerà strano, ma in quasi quattro ore di pensieri ne vengono tanti per strada e spesso a riaffiorare sono proprio questi ricordi, un incoraggiamento, una pacca sulla spalla, una parola, un in bocca al lupo, un sorriso fiducioso sono tutti mezzi  potentissimi che spingono un maratoneta che non ce la fa più a spingere l’ultimo passo oltre la fatica.
Questa maratona voglio dedicarla a tutti questi amici, alcuni dei quali magari neppure conosco di persona, uno per tutti Giorgio, un amico di Aosta conosciuto su Facebook solo poche settimane fa, che stamattina mi ha recapitato un libro scritto da lui e che sulla dedica personalizzata ha fatto riferimento proprio al mondo della corsa. E questo racconto, un po’ più lungo del solito, non a caso è dedicato a lui ed a chi, giunto fin qui, avrà dimostrato una passione per la lettura e per la scrittura degna di un piccolo-grande maratoneta quale io, nel mio infinitamente piccolo, mi sento.
Chi non sapeva della mia maratona, stamattina guardano la mia aria lievemente stravolta ed lineamenti del viso un po’ provato, vuoi per curiosità, vuoi per morbosità, vuoi per altri motivi, si è limitato a chiedermi il perché fossi dimagrito così tanto.  
Provaci tu, ho risposto, a partorire una medaglia…






8 commenti:

  1. se aspettavamo il post, per sapere come fosse andata... ;) quando ti ho cercato su tds mi son detto: però, mica era facile!

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  2. Bravo Giuseppe, l'ho "ricorsa" con te grazie al tuo ottimo racconto!!! Ora scusami ma sono un po' stanco :-)...

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  3. bravissimo! hai dato tante tante mazzate al maledetto raffreddore!
    però... come si fa a correre una maratona con una maglia legata in vita??? ehhhhh?????? roba da cancellazione a vita dall'albo dei maratoneti (se esiste). scherzo (ma non farlo mai più!). bacioni e ancora complimenti! :)
    Chiara

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  4. Grazie a tutti! A Franchino che mi segue sempre; a Yò, che era impaziente di riscuotere la scommessa giocata all'Eurobet (Spenga sotto le quattro ore non era facile, ma pagava bene!!! ;)
    A Marcello che l'ha ricorsa con la bicicletta, mi ha tirato la volata e l'ho chiusa in 3h 57'... e a Chiara, che non sa che la maglia in vita è una abitudine terribile lo ammetto, ma che mi porta un gran bene: il precedente fu Firenze, PB a 3h59', prima di Roma 2011. Serve se incontro turbolenze in quota... O.o

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  5. complimenti per la tua ottava medaglia!. la collemarathon deve essere proprio bella. prima o poi mi tocca

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  6. Nino, s'ha da fare! Bellissima davvero. Ciao :)

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  7. Grande Giuseppe,
    ci si vede il prossim anno allora!! :P
    Buone corse,
    Romani Claudio, asd collemarathon club



    :D

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